31 maggio 2011

Un esempio di reporter: KAPUSCINSKI

“La curiosità del mondo che anima il reporter è una questione di carattere. Ci sono persone non interessate al resto del mondo: quello in cui vivono è per loro il mondo intero.
Una posizione rispettabile come qualunque altra.
Confucio diceva che il modo migliore per conoscere il mondo è quello di non uscire mai dalla propria casa, e anche questo è vero: invece di spostarsi materialmente, si può viaggiare all'interno della propria anima. Il concetto di viaggio è quanto mai elastico e differenziato.”[1]



Il concetto di viaggio per Riszard Kapuscinski è più facilmente comprensibile partendo dal principio. Da quella che è la sua biografia e la sua esperienza di vita. Kapuscinski nasce a Pinsk, un tempo terra polacca ora attuale Bielorussia, il 4 Ottobre 1932. Studia all’università di Varsavia, e si laurea in Storia Contemporanea. Dopo la laurea inizia a lavorare per il giornale polacco Sztandar Mlodych[2]. E’ il 1955, due anni dopo la morte di Stalin, la censura era lievemente meno severa, ma il regime continuava. Proprio in questi anni inizia a percepire quella sensazione di inquietudine che successivamente, come vedremo, caratterizzerà la sua vita e la sua predisposizione al viaggio: il varcare la frontiera.

“Quello che volevo era semplicemente varcare una frontiera, quale che fosse: non mi premevano lo scopo, il traguardo, la meta, ma il mistico e trascendentale atto in sé di varcare la frontiera.”[3]
A seguito di questa prima esperienza di redazione, inizia a lavorare come corrispondente per l’agenzia di stampa PAP[4], da cui arriva nel 1956 il primo viaggio: l’India. Giovane e inesperto, senza conoscere la lingua e la cultura, rimane per ben sei mesi in India, bloccato a causa della nazionalizzazione del canale di Suez. L’imprevisto però non lo blocca, anzi, Kapuscinski raccoglie con determinazione questa sfida. D’altra parte sono proprio gli imprevisti che caratterizzano un viaggiatore rispetto al semplice turista. Inizia quindi a esplorare il territorio indiano, senza però riuscire ad entrare in vera empatia con la cultura che sta esplorando.
“L’india rappresentò il mio primo incontro con la diversità […] Avevo scoperto che una cultura estranea non si svela a comando e che, per capirla, occorre una lunga e solida preparazione.”[5]
Gli rimane una grande lezione d’umiltà dal suo primo viaggio, ma non solo: la scoperta che da un viaggio si può anche non uscire mai, che non è solo lo spostamento fisico quello che conta, ma dove la mente vaga.
“Scoprivo che un medesimo viaggio si poteva prolungare, ripetere, moltiplicare attraverso la lettura dei libri, lo studio delle mappe, l’osservazione delle immagini e delle fotografie. Scoprivo anche che quel modo di spostarsi aveva addirittura un vantaggio rispetto allo spostarsi fisicamente, nel senso che il percorso iconografico permetteva di fermarsi, osservare con calma, tornare all’immagine precedente, cosa che spesso in un vero viaggio non si ha né il tempo né la possibilità di fare.”[6]
Con questo background compie il suo secondo viaggio. La redazione polacca lo manda in Cina, nel 1957, a documentare la politica dei cento fiori di Mao Tze Tung. Ben presto Kapuscinski si accorgerà di quanto anche la realtà cinese sia di difficoltoso apprendimento: la paragona alla Grande Muraglia,
“un muro composto di tutto ciò che mi riusciva incomprensibile: i discorsi della gente, i giornali, le radio. In India era successa la stessa cosa, anche li non ero riuscito a farmi strada nel folto dei locali alfabeti indiani.”[7].

A differenza però di altri colleghi – per esempio Sartre con “Visita a Cuba”- Kapuscinski non cade nella trappola degli spin doctors comunisti, che al tempo del regime organizzavano per gli intellettuali stranieri visite idilliache e preconfezionate volte a rafforzare la legittimità dei dittatori comunisti. Uscendo da questo tipo di strumentalizzazione politica, Kapuscinski imbocca la via che sarà quella che poi percorrerà per tutta la vita, e in tutti i suoi viaggi: quella del reportage politico non embeeded[8]. Kapuscinski inizia a esplorare con uno sguardo nuovo, indagando sotto la corazza della “macchina del silenzio” istituzionale che trasforma la “verità” dei luoghi e delle persone. Sceglie di vedere la realtà con i propri occhi, di fare di ogni posto un luogo unico legandolo a persone conosciute, storie non ordinarie, e non al regime vigente. Questo tipo di narrazione è ricollegabile a un genere ibrido, non solo al mero reportage di viaggio. Nei resoconti del reporter polacco realtà e finzione si mescolano confluendo nella miscela del “meta-viaggio”, tipico del suo contemporaneo Bruce Chatwin[9]. Ma non è Chatwin a influenzare la poetica del polacco, dobbiamo fare una notevole digressione temporale per arrivare al reporter che sarà la chiave di volta del lavoro giornalistico di Kapuscinski. Precisamente nella Grecia del V secolo a.C. Sto parlando di Erodoto, primo autore di viaggio della tradizione occidentale. Kapuscinski fa delle Storie[10] la sua guida personale, tanto da condurre le sue ricerche secondo il metodo dell’autopsia.[11]

“Come lavora Erodoto? Da reporter di razza: gira, osserva e ascolta per poi immagazzinare, per iscritto o nella memoria, ciò che ha sentito. […] Erodoto non si accontenta del “sentito dire”: cerca sempre di verificare di persona, di paragonare le versioni sentite e di formulare una propria opinione.”[12]
Proprio grazie ad Erodoto  (a cui lo accomuna l’approccio di tipo storico – antropologico) la quale lettura va di pari passo con l’avanzamento della sua carriera di reporter, Kapuscinski si appassiona a un nuovo Altrove: il continente africano. Peculiare è la situazione dell’Africa negli anni ’60, con il regime comunista e i problemi legati alla guerra fredda poco si parlava della decolonizzazione in atto oltremare. Kapusciski sceglie di uscire da questo eurocentrismo e si interessa proprio a quelle popolazioni quasi dimenticate. Nel 1960 vede per la prima volta il Nilo. Dall’Egitto si sposta in Congo, Etiopia, Uganda, Tanzania, Kenya, Algeria, Senegal, Mozambico[13]. Permane in Africa per oltre dieci anni. Difficile avere contatti con la Polonia – dov’è la sua redazione – o con l’Europa in generale. Niente telefoni o radio, l’unico mezzo di trasmissione d’informazioni era il telex, davanti al quale si dava appuntamento con i suoi colleghi di Varsavia per passare i pezzi al giornale. Se era fortunato, il telegrafo:
“[…] scrivere dispacci e portarli alla posta dove il telegrafista di turno li invia all’ufficio della PAP a Londra (operazione meno costosa che spedirli direttamente a Varsavia). […] Qui esce un solo giornale, che ha quattro pagine e si chiama”Ethiopian Herald”. […] In qualità di unico corrispondente polacco per tutta l’Africa non posso sparire per tanto tempo nel nulla. E allora, dove attingere le informazioni? I miei colleghi delle agenzie ricche – Reuter, AP o AFP – assoldano dei traduttori, ma io non ho abbastanza denaro. […] Non mi resta che andare in giro. […] Ma non mi lamento: con questo sistema conosco molta gente e vengo a sapere cose che i giornali e la radio non dicono.”[14]

Realtà simile si ritrova nei suoi viaggi in America Latina: nel 1975 scrive della Bolivia, - guerra interna tra opposizione, principalmente studentesca, e il regime vigente - di Che Guevara e Allende a Cuba; dell’uccisione dell’ambasciatore della Repubblica Federale Tedesca Karl von Spreti in Guatemala; di Haiti e Santo Domingo; del sanguinoso regime dittatoriale vigente in Venezuela.[15]
Nel 1979 è la volta dell’Iran, “dove è in atto la rivoluzione islamica guidata dall’anziano, arcigno e inflessibile ayatollah Khomeini”[16]. Shah in Shah è il libro reportage partorito da questo soggiorno - scritto chiuso in una camera d’albergo mentre sistema gli appunti presi durante la permanenza - che traccia il profilo storico, politico e sociale dell’Iran.
“Che abbiamo dato al mondo, noi persiani? La poesia, la miniatura, il tappeto. Cose produttivamente inutili, che non rendono più facile la vita, ma semplicemente l’abbelliscono, sempre che una distinzione del genere abbia senso. Abbiamo dato al mondo questa meravigliosa inutilità. Ma è attraverso di essa che abbiamo espresso la nostra vera natura di vedere il pericolo, capiscono improvvisamente di non esserne immuni.”[17]
Nel 1989 Kapuscinski fa ritorno in Europa, e decide di occuparsi del colosso Urss. Sono gli anni del disfacimento dell’impero – da qui il titolo chiaramente provocatorio Imperium - così il reporter decide di approfondire il tema.
“[…]non è una storia della Russia e dell'ex URSS né un resoconto dell'ascesa e caduta del comunismo in questo stato e neanche un manualistico concentrato di conoscenze sull'Impero. E' la mia relazione personale di viaggi compiuti nelle sconfinate distese di questo paese (o meglio di questa parte del mondo), cercando sempre di arrivare fin dove me lo consentivano il tempo, le forze e la possibilità.”.[18]
 Si parla dei primi contatti di gioventù con i territori bolscevichi, fino a quelli più recenti degli anni del crollo; geograficamente spaziando dalla capitale fino ai meandri più remoti della vastità russa e toccando argomenti delicati come quello del dispotismo, dell’oppressione e della violenza.
 "[…] Stalin si guardò bene dal commettere un errore del genere. Chi costruiva camere a gas se ne prendeva anche la colpa, si addossava il marchio dell'assassino. Stalin quindi scaricò la colpa dei delitti sulle vittime stesse: morite di fame perché non volete lavorare, perché non vedete i vantaggi offerti dal kolchoz.".[19]
Con l’avanzare degli anni - e dei reportage - arriva anche il successo. Peculiare, infatti, il caso delle pubblicazioni di Kapuscinski, che avvengono in ordine opposto rispetto a quello di scrittura (come per esempio il recente Cristo con il fucile in spalla). Numerosi i riconoscimenti prestigiosi, tra cui uno recente e nostrano come la laurea Honoris Causa presso l’Università di Udine. Certamente però non si parla di una notorietà fragorosa, numerose sono stata anche le polemiche e le accuse, come quella di aver collaborato con i servizi segreti polacchi, o di essere stato sostanzialmente un “bugiardo” per la personalizzazione di molti reportage a causa dell’ambiguità tra realtà e finzione. Kapuscinski è comunque rimasto fino alla fine dei suoi giorni – il 23 Gennaio 2007, nella sua terra madre a Varsavia – molto umile e moralmente integro. Ci lascia, infatti, con una massima molto importante per chi, come lui ha fatto, vorrebbe intraprendere la carriera giornalista: “Il cinico non è adatto a questo mestiere.”[20]
Nel nostro mestiere vi sono alcuni elementi specifici molto importanti. Il primo elemento è una certa attitudine ad accettare e sacrificare qualcosa di noi. […] Il secondo elemento della nostra professione è il costante approfondimento delle nostre conoscenze. […] C’è una terza qualità importante per la nostra professione, ed è non considerarla come un semplice mezzo per arricchirsi.[…] Non c’è giornalismo possibile fuori dalla relazione con gli altri esseri umani. ”[21]







[1] R. Kapuscinski, Autoritratto di un reporter, ed. U.E. Feltrinelli, 2008 pag.11.
[2] “La bandiera dei giovani”
[3] R. Kapuscinski, In viaggio con Erodoto, ed. U.E. Feltrinelli, 2005 pag. 15.
[4] Polska Agencjia Prasowa: agenzia di stampa polacca.
[5] R. Kapuscinski, In viaggio con Erodoto, ed. U.E. Feltrinelli, 2005 pag. 42.
[6] R. Kapuscinski, In viaggio con Erodoto, ed. U.E. Feltrinelli, 2005 pag. 51.
[7] Ivi, pag. 64.
[8] Giornalista embedeed: protetto da un esercito.
[9] Bruce Chatwin (1949-1989), scrittore e viaggiatore britannico, ha compiuto numerosissimi viaggi dai quali ha scritto molteplici libri, tra i quali In Patagonia.
[10] Erodoto, Storie, Newton & Compton, 2007.
[11] Controllo in prima persona dei luoghi che si vogliono descrivere, modo d’agire tipo di Erodoto.
[12] R. Kapuscinski, In viaggio con Erodoto, ed. U.E. Feltrinelli, 2005 pag. 98.
[13] Sui conflitti dell’Africa R. Kapuscinski, Ancora un giorno (1976) La prima guerra del football e altre guerre di poveri (2002), Ebano (2002), Il primo sparo per il Mozambico in Cristo con il fucile in spalla (2011.)
[14] R. Kapuscinski, In viaggio con Erodoto, ed. U.E. Feltrinelli, 2005 pag. 173.
[15] Pubblicato nel 1975, ma mai apparso in Italia Cristo con il fucile in spalla viene pubblicato nel 2011 da Feltrinelli.
[16] R. Kapuscinski, In viaggio con Erodoto, ed. U.E. Feltrinelli, 2005 pag. 136.
[17] Ferdousi, un venditore di tappeti incontrato da Kapuscinski durante il soggiorno, si accomiata da lui a fine libro definendo così il popolo iraniano.
[18]R. Kapuscinski, Imperium, ed. U.E. Feltrinelli, 2002 pag. 12.
[19] Ivi, Pag.242.
[20] R. Kapuscinski, Il cinico non è adatto a questo mestiere, E/O, 2000.
[21] Ivi, pag. 32 – 38.

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