22 giugno 2011

13 giugno 2011

Che QUORUM l'Italia!



Dal sito di Repubblica.it il costante aggiornamento dei dati referendari.
Vi do la buonanotte così!

12 giugno 2011

Ebook vs carta stampata: qualche considerazione "sentimentale".

Giornata, quella di oggi, dedicata alla cura del mio blog e alla lettura di quello dei miei compagni.
Sperando che non si offenda, ma anzi si senta in un qualche modo "onorato" da questa mia citazione, posto l'estratto dal blog di un compagno sull'argomento degli e-book, l'editoria digitale a affini.
Argomento molto controverso per me, che sogno fin da quando ero piccina un giorno di lavorare nel mondo dell'editoria, e possibilmente in una casa editrice libraria. Sono infatti, sebbene i tempi e la tecnologia ora in uso, una cultrice del classico libro di carta...altro che Ipad!
Se una della caratteristiche essenziali per un dispositivo elettronico per esser qualificato "eBook reading device" è quella di "permettere la lettura in condizioni ambientali simili a quelle in cui può essere letto un normale libro cartaceo", perchè usare il digitale?
Perchè perdere l'emozione dell'odore della carta appena stampata che solo un libro nuovo può dare?
Del sottolineare tre, quattro, cinque volte, ogni volta con un colore diverso a ogni rilettura, quella frase che tanto parla di te?
La sensazione tattile della carta che è passata di mano in mano, che ha viaggiato con il suo proprietario, che parla del luogo che quel libro ha visitato insieme a lui? ..la sabbia che esce dalla brossatura di quel libro letto quell'estate di tanto tempo fa', la macchia di caffè di quella colazione mentre leggevi con tanto ardore, la copertina tutta imbarcata perchè il tuo amato libro ha corso insieme a te sotto un temporale scrosciante in un pomeriggio d'autunno..
Sarò sentimentale, sarò obsoleta...ma penso che queste sensazioni difficilmente potra regalarcele un e-book digitale.

I miei libri...vissuti.

I "libri" d'oggi.

Blog di Livio Lepratto: "eBook readers" e affini: "Sebbene un qualunque computer sia potenzialmente in grado di permettere la lettura di un eBook, si dovrebbe parlare di 'eBook reading device..."

I love BENIGNI

Roberto Benigni ha celebrato ieri la cittadinanza onoraria di San Leo, dell'amico semiologo Umberto Eco. In clima febbrile da referendum, non si è certo lasciato scappare qualche battutina ironica:"Quando Eco mi ha chiesto di venire qui ho risposto quattro volte si!".
Niente di più azzeccato che goderci il video nella giornata di oggi:


Parlando del mio idolo, non posso non postare una mie sue performance preferite: il canto V dell'inferno di Dante.




"Così discesi del cerchio primaio
giù nel secondo, che men loco cinghia,
e tanto più dolor, che punge a guaio.Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l'intrata;
giudica e manda secondo ch'avvinghia.
Dico che quando l'anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor de le peccata
vede qual loco d'inferno è da essa;
cignesi con la coda tante volte
quantunque gradi vuol che giù sia messa.
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte;
vanno a vicenda ciascuna al giudizio;
dicono e odono, e poi son giù volte.
«O tu che vieni al doloroso ospizio»,
disse Minòs a me quando mi vide,
lasciando l'atto di cotanto offizio,
«guarda com'entri e di cui tu ti fide;
non t'inganni l'ampiezza de l'intrare!».
E 'l duca mio a lui: «Perché pur gride?
Non impedir lo suo fatale andare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare».
Or incomincian le dolenti note
a farmisi sentire; or son venuto
là dove molto pianto mi percuote.
Io venni in loco d'ogne luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
se da contrari venti è combattuto.
La bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
voltando e percotendo li molesta.
Quando giungon davanti a la ruina,
quivi le strida, il compianto, il lamento;
bestemmian quivi la virtù divina.
Intesi ch'a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento.
E come li stornei ne portan l'ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali
di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena.
E come i gru van cantando lor lai,
faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid'io venir, traendo guai,
ombre portate da la detta briga;
per ch'i' dissi: «Maestro, chi son quelle
genti che l'aura nera sì gastiga?».
«La prima di color di cui novelle
tu vuo' saper», mi disse quelli allotta,
«fu imperadrice di molte favelle.
A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,
per tòrre il biasmo in che era condotta.
Ell'è Semiramìs, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
tenne la terra che 'l Soldan corregge.
L'altra è colei che s'ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
poi è Cleopatràs lussuriosa.
Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi 'l grande Achille,
che con amore al fine combatteo.
Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille
ombre mostrommi e nominommi a dito,
ch'amor di nostra vita dipartille.
Poscia ch'io ebbi il mio dottore udito
nomar le donne antiche e ' cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
I' cominciai: «Poeta, volontieri
parlerei a quei due che 'nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggeri».
Ed elli a me: «Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno».
Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: «O anime affannate,
venite a noi parlar, s'altri nol niega!».
Quali colombe dal disio chiamate
con l'ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l'aere dal voler portate;
cotali uscir de la schiera ov'è Dido,
a noi venendo per l'aere maligno,
sì forte fu l'affettuoso grido.
«O animal grazioso e benigno
che visitando vai per l'aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
se fosse amico il re de l'universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c'hai pietà del nostro mal perverso.
Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che 'l vento, come fa, ci tace.
Siede la terra dove nata fui
su la marina dove 'l Po discende
per aver pace co' seguaci sui.
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte.
Quand'io intesi quell'anime offense,
china' il viso e tanto il tenni basso,
fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?».
Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!».
Poi mi rivolsi a loro e parla' io,
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri,
a che e come concedette Amore
che conosceste i dubbiosi disiri?».
E quella a me: «Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.
Ma s'a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante».
Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangea; sì che di pietade
io venni men così com'io morisse.
E caddi come corpo morto cade."

11 giugno 2011

"Chi vota...muore!!"

25.209.346. Tutto gira intorno a questo numero. 
Se tra domani, domenica 12 Giugno, e lunedì 13 si smobiliterranno questo numero di elettori il referendum sarà valido. E' questo il quorum da raggiungere. Leggendo i giornali e ascoltando i nostri politici la vera sfida di questo weekend non saranno tanto i 4 si, quasi scontati, quanto l'affluenza alle urne. Numerossime sono state infatti le campagne di promozione al voto, gli slogan, le manifestazioni nelle varie piazze d'Italia, le agevolazioni promosse per tutti gli italiani all'estero o gli studenti fuori sede. Il tutto per sensibilizzare la popolazione, tantissime le idee per riempire le urne. Perchè tutto questo affanno, quando il voto dovrebbe essere uno dei doveri chiave di un cittadino?
Basta guardare i precedenti: nel 1974 si raggiunse l'ottantasette per cento di affluenza alle urne, e quindi il quorum, per il referendum sul divorzio. Pessimi invece i risultati per i referendum successivi: nel 1990(caccia), nel 2003(art.18) e nel 2009(porcellum) il quorum non fu raggiunto. Decisamente non d'aiuto a questo fenomeno d'astensionismo le dichiarazioni del nostro presidente del consiglio che ha incitato gli italiani a non votare, e ha dichiarato che lui stesso - primo cittadino d'Italia - non si recherà alle urne.

Alcuni tra i vari loghi

Entrando nello specifico di questo referendum, 4 sono i quesiti a cui rispondere:
Questito numero 1. Acqua pubblica. Abrogazione dell'affidamento del servizio a operatori privati. (scheda rossa)
Quesito numero 2. Acqua pubblica. Abrogazione del calcolo della tariffa secondo logiche di mercato. (scheda gialla)
Quesito numero 3. Energia nucleare. (scheda grigia)
Quesito numero 4. Legittimo impedimento. (scheda verde)

C'è speranza, c'è fermento nelle città. Si spera che l'oscuratismo mediatico sia stato sconfitto dalle tante iniziative trasversali tra le città italiane - dai concerti di Roma, alle manifestazioni di Bologna, Napoli, Milano, fino agli striscioni appesi sui monumenti chiave da greenpeace, o semplicemente ai balconi di case comuni di paesi comuni di cittadini comuni -  dalla propaganda sociale che ha imperversato tutto il web, e dall'impegno di tanti personaggi famosi, politici e persone normali che non si sono volute arrendere. 
Eccone un esempio, con questo video.




10 giugno 2011

Il cavaliere che ha fregato in intero paese.

Era sicuramente la notizia di ieri, quella che l'Economist (vedi articolo originale), rinomato settimanale inglese, abbia dedicato non solo l'ultima copertina, ma un intero dossier, di 14 pagine, al nostro presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Sicuramente una copertina non celebrativa, visto che titolava "L'uomo che ha fregato un intero paese". E ancora meno amichevoli sono le parole che troviamo all'interno del dossier: si affronta lo scandalo del bunga bunga - il Rubygate - gli altri processi in atto, fino ad arrivare alla drammatica situazione economica che il nostro paese sta vivendo.
Guardiamo la notizia da punti di vista differenti: riporterò un articolo da "Il fatto quotidiano",giornale di recente nascita, e di vocazione imparziale. Passerò poi al punto di vista della destra, quello colpito al cuore dall'Economist, riportando un articolo del "Giornale".





IL FATTO QUOTIDIANO 

L’Economist mette Berlusconi in copertina “L’uomo che ha fregato un intero Paese”

Il settimanale britannico dedica 14 pagine a Berlusconi, definendolo un disastro. "Solo Haiti e Zimbawe hanno fatto peggio a livello di crescita economica negli ultimi 10 anni. L'Italia ha bisogno di un cambio di governo"


”L’uomo che ha fregato un intero Paese”. E’ questo il titolo di copertina dell’Economist in edicola domani, sopra una foto a tutta pagina del premier. All’interno uno speciale di 14 pagine dedicato all’Italia di Berlusconi.
Già in passato il settimanale britannico ha criticato il Cavaliere. Nel 2001 sopra la sua immagine la scritta: “Perché Silvio Berlusconi è inadatto a guidare l’Italia”. Nel 2006 un invito: “Basta. E’ il momento per l’Italia di licenziare Berlusconi”. “Mamma mia” nel 2008 dopo la vittoria elettorale. E il giudizio sul premier non è lusinghiero nemmeno questa volta. “Nonostante i suoi successi personali, Berlusconi si è rivelato un disastro come leader nazionale per tre motivi”, si legge nell’editoriale. Il primo è la “saga” del bunga bunga, il secondo sono i suoi “trucchi finanziari”, che lo hanno portato a processo per frode, truffa contabile e corruzione. “Il terzo è di gran lunga il peggiore: il totale disinteresse per la condizione economica del Paese. Forse perché distratto dai suoi problemi legali, in nove anni non è stato in grado come primo ministro di trovare un rimedio o quanto meno di ammettere lo stato di grave debolezza economica dell’Italia. Come risultato, si lascerà alle spalle un Paese in grave difficoltà”.
“Grazie alla politica di rigore fiscale imposta dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti – continua l’editoriale - l’Italia ha evitato finora di diventare la nuova vittima della speculazione dei mercati”. Ma questo non ha risolto il problema della mancanza di crescita economica. Che contribuisce all’alto debito pubblico, “ancora al livello del 120% del Pil, il terzo più grande tra i Paesi ricchi”. Nell’editoriale vengono poi elencati altri problemi: un quarto dei giovani sono senza lavoro, il tasso di impiego femminile è al 46% (il più basso nell’Europa occidentale), una produttività diminuita nell’ultimo decennio del 5%. L’Italia, continua l’editoriale, è “ottantesima secondo l’indice “Doing Business” della Banca Mondiale, dietro a Bielorussia e Mongolia, e quarantottesima nella classifica sulla competitività del World Economic Forum, dietro Indonesia e Barbados”.
Tra i problemi del nostro Paese, scrive John Prideaux in uno degli articoli dello speciale, c’è la bassa crescita economica. “Tra il 2000 e il 2010 la crescita media dell’Italia, misurata in Pil a prezzi costanti è stata pari ad appena lo 0,25% su base annua. Di tutti i Paesi del mondo, solo Haiti e Zimbabwe hanno fatto peggio. Sono molti i fattori che hanno contribuito a creare questo fosco quadro. L’Italia è diventata un Paese a disagio nel nuovo mondo, timoroso della globalizzazione e dell’immigrazione. Ha adottato un insieme di politiche che discriminano fortemente i giovani a favore degli anziani. Se aggiungiamo una forte avversione alla meritocrazia, ecco perché molti giovani talenti decidono di emigrare all’estero”. “L’Italia non è riuscita a innovare le sue istituzione – prosegue – ed è indebolita dai continui conflitti d’interesse in campo giudiziario, politico, dei media e finanziario. Questi sono problemi che riguardano la nazione nel suo insieme, non una provincia o un’altra. E questi problemi non sono stati risolti dalla permanenza di Berlusconi a Palazzo Chigi”.
Quando sparirà dalla scena politica, prosegue Prideaux, “Berlusconi avrà lasciato in eredità al Paese, un ulteriore indebolimento delle istituzioni, che già non erano solide all’inizio, e una maggiore tolleranza per i conflitti di interesse”. E ancora: “Quindici anni di assalti verbali ai tribunali d’Italia hanno portato molti a credere che il sistema giudiziario sia costituito da una cricca di giudici sinistrorsi che cercano di indebolire il governo. Berlusconi e i suoi sostenitori hanno rafforzato questi attacchi sostenendo falsamente che Berlusconi non è mai stato condannato e che non ha mai avuto guai con la giustizia prima di entrare in politica”. Mentre il premier pensava a ‘difendersi’ dai processi “sono state messe da parte le complesse riforme necessarie a far crescere l’Italia”.
Malgrado tutti i suoi problemi, comunque c’è ancora molto da ammirare in Italia, scrive il settimanale, e qui la citazione è per il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, per Mario Draghi e la Banca d’Italia. “Tuttavia, negli ultimi decenni – conclude Prideaux – il Paese è vissuto di rendita del miracolo economico della fine degli anni ’70. Potrebbe andare avanti in questo modo, impoverendosi e invecchiando sempre più, ma comunque restando a galla abbastanza agevolmente. Per il momento sembra che questa sia la cosa più probabile che possa accadere. Ma il Paese ha un bisogno disperato di un nuovo risveglio, come quello che portò all’unificazione 150 anni fa”.
”L’Italia ha tutte le cose che le servono per ripartire. Quello di cui ha bisogno è un cambio politico e di governo”, ha commentato Prideaux presentando oggi lo speciale dell’Economist. “Non farò l’errore di predire la fine di Berlusconi, ma parlando con le persone si inizia a sentire un’aria nuova, la fine di un’era”.




IL GIORNALE

Ancora insulti dall'Economist: "Berlusconi ha fottuto l'Italia"

L’Economist in edicola domani dedica all'Italia uno speciale di 14 pagine in cui smonta la politica economica del governo. Già in passato, prima delle elezioni del 2001, era andato in stampa con una copertina il cui titolo era Perché Silvio Berlusconi è inadeguato a guidare l’Italia. A distanza di dieci anni si rinnova l'attacco: "Non vediamo alcun motivo per cui dobbiamo cambiare il verdetto". E rinfacciano al Cav gli scandali sessuali e di non aver fatto fronte alla crisi che ha colpito il Belpaese




Milano - Un column infuocato in salsa british infarcito di insulti pesantissimi e volto ad essere una sentenza definitiva di decesso politico. E' questo il contenuto del nuovo attacco mosso dall'Economist al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. The man who screwed an entire country è il titolo. Dove screwed è un termine colloquiale che sostituisce il più volgare fucked. Si può tradurre con "l'uomo che ha fregato l'Italia". O meglio: che l'ha fottuta. Il titolo del numero in edicola domani non lascia infatti spazio ai dubbi: "L'era Berlusconi graverà sull’Italia per gli anni a venire".

Non è la prima che il settimanale inglese scatena il proprio odio contro il Cavaliere. Già in passato, prima delle elezioni del 2001, era andato in stampa con una copertina interamente dedicata a Berlusconi e il cui titolo era Perché Silvio Berlusconi è inadeguato a guidare l’Italia. La cosa non era affatto piaciuta al premier che aveva citato il periodico per diffamazione a mezzo stampa. Questa volta, l'Economist va ben oltre: si prende la briga di venire a Milano per dire agli italiani cosa devono fare in materia di fisco e giustizia. "Nei suoi 74 anni ha creato un impero mediatico che lo ha reso l'uomo più ricco d'Italia - scrive l'Economist - ha dominato la politica dal 1994 ed ora è il primo ministro con una longevità più lunga dai tempi di Mussolini". Poi va all'attacco: il bunga bunga, il Rubygate e gli scandali sessuali. Rigettando la tesi espresse dalla difesa del Cavaliere durante il processo, l'Economist va a riprendere la sentenza emessa nell'aprile del 2001 per confermarla. We have seen no reason to change that verdict, non vediamo alcun motivo per cui dobbiamo cambiare il verdetto. E il verdetto è (sempre e comunque) che Berlusconi non può governare l'Italia. 

Nel numero della rivista in edicola domani, che contiene anche un rapporto speciale di sedici pagine sul nostro paese in occasione dei 150 dall’unificazione, la tesi di fondo è che le politiche del governo Berlusconi hanno gravemente danneggiato il Paese e prodotto un decennio di crescita bassissima caratterizzato anche da una costante perdita di produttività. Pur ammettendo che l'Italia è riuscita ad evitare la bolla immobiliare e a contenere il tasso di disoccupazione (all'8% rispetto al 20% della Spagna), il settimanale inglese prevede che, quest'anno, il deficit del Belpaese sarà del 4 per cento contro il 6 per cento della Francia. "Questi dati rassicuranti traggono in inganno - scrive l'Economist - il malessere economico in Italia non è in uno stadio acuto ma è una malattia cronica che lentamente divora tutta la vitalità". Una malattia che, a detta del periodico, avrebbe fatto scendere nell'ultimo decennio la produttività italiana del 5 per cento, mentre in America è salita di un quinto e in Inghilterra di un decimo. 
"Tra una battaglia giudiziaria e l'altra", ammette l'Economist, Berlusconi è riuscito a portare a termine anche delle riforme liberali. Una su tutte la legge Biagi. "Avrebbe potuto fare di più se avesse usato il suo potere e la sua popolarità per fare altro anziché difendere i suoi interessi personali", conclude l'Economist spiegando che la crisi sta spingendo la Grecia, il Portogallo e la Spagna a fare delle riforme nonostante le proteste della popolazione. In realtà, l'editoriale appare tutt'altro che una lucida analisi del sistema Italia: non va oltre all'attacco sistematico del premier.
Sembra proprio che, ancora una volta, l'Economist abbia screwed i suoi lettori.

Accantonando i lavori portati a termine dall'esecutivo, l'Economist non è infatti in grado di leggere i dati che nelle passate settimane sono stati pubblicati dalla Bce e dall'Fmi. Certo, i problemi non mancano. Il governo avrebbe potuto fare quelle riforme che sono necessarie alla crescita del Paese ma che sono state osteggiate dall'opposzione e dalle parti sociali. Di questo, però, non una parola. Perché, ancora una volta, appare chiaro che l'intento dell'Economist non sia leggere la condizione economica dell'Italia ma demolire, a livello internazionale, la credibilità di Berlusconi. D'altra parte lo stesso premier è conscio che "ormai per quanto riguarda la politica la stampa si è allontanata completamente dalla realtà".



02 giugno 2011

 I MERCENARI DELL'ANIMA

Pietà, chiede Signori, l’ex bomber dal cognome ingannevole, riciclatosi secondo i giudici in scommettitore di partite truccate. Ma non può esserci pietà per chi insozza i sogni. Nonostante grondi denaro da tutti i pori televisivi, per molti di noi il calcio resta un quarto d’ora di ricreazione incastonato in un mondo immondo, che ogni giorno ci costringe a convivere con truffe, soprusi e raccomandazioni.

Anche il tifoso più cinico vi si accosta con l’animo del bambino che fu, quello che la domenica andava allo stadio con lo stomaco in gola. Credendoci davvero, nei suoi eroi. Perciò: nessuna pietà per chi non ha avuto pietà. Chi ruba soldi pubblici ferisce la nostra parte adulta di cittadini. Ma chi lascia perdere apposta la nostra squadra del cuore sta estinguendo la riserva di ingenuità che giace dentro ogni essere umano.

Nella bolgia della vergogna, lo sportivo-scommettitore sta un gradino più sotto dello sportivo drogato. Truccano entrambi, ma il secondo lo fa sulla propria pelle. Il primo, invece, solo su quella dei suoi tifosi. La lettura delle intercettazioni (che qualcuno vorrebbe vietare) aumenta lo sdegno. Cricche di malaffare capeggiate da campioni in pensione o in attività che ingaggiano calciatori di questa o quella maglia - qui un terzino, là un centravanti - fino a costruirsi una loro squadra privata e parallela, in una sorta di Fantacalcio della truffa che pratica scorribande sui campi della Prima Divisione, della Serie B e persino della A. In ogni club c’è un agente all’Avana pronto a entrare in azione per corrompere i compagni disponibili o per sedare quelli riottosi con dei farmaci, così da indurli comunque a giocar male. Non sempre è necessario truccare l’esito finale. A volte basta vendersi per qualche minuto, tanto ormai si scommette su tutto: sul risultato dei primi tempi, sul numero dei gol e anche su quello dei calci d’angolo.

Riviste col senno di poi, le immagini delle diciotto partite smascherate sembrano altrettante sfide alla nostra ostinazione infantile nel rifiutare la realtà: portieri che scambiano la palla per una saponetta, ali destre che inciampano in un filo d’erba, difensori che al momento di affrontare l’avversario si spostano di lato, fingendo di essersi presi una storta. C’è un fotogramma che mi ha fatto schiumare di rabbia: il portiere corrotto ha appena lasciato entrare il pallone in rete e dietro di lui, nella curva a ridosso della porta, si vede un bambino che piange per il gol subito. Forse era la sua prima partita. Forse il padre ha dovuto tirare la cinghia per potergli regalare quel primo pomeriggio «da grande». Ma cosa volete che interessino i palpiti immortali di un bambino a questi mercenari dell’anima, pronti a vendere la maglia che indossano per qualche centinaio di euro? Chiedono pietà. Ma non hanno avuto pietà dei tifosi che stavano ingannando. Come non ha pietà dei cittadini il politico che deruba lo Stato. Tutti i furfanti alterano le regole del gioco, ma in questo caso è persino peggio, perché il gioco era davvero «il gioco».

È insopportabile l’avidità di chi ha già tutto e per avere di più vende l’unica cosa che non potrà ricomprarsi: la dignità. È insopportabile la presunzione di impunità che accomuna gli scommettitori fraudolenti ai malfattori di ogni altro ramo della Furtopoli nostrana, felici di declamare le loro gesta nei telefonini. Ma è altrettanto insopportabile che continuino a farci credere che si tratti di poche mele merce in un cesto di lillà, proprio nel giorno in cui uno come Blatter viene rieletto per la quarta volta ai vertici del dollarificio calcistico mondiale.
Di Massimo Gramellini, "La Stampa". 02/06/11